Loris Capirossi, una vita senza paura (prima parte)

Non ha mai vinto un titolo nella classe regina, eppure è considerato uno dei piloti più famosi della storia. Loris Capirossi ha contribuito a scrivere pagine indelebili di questo meraviglioso romanzo che è il motociclismo. Campione del mondo a soli 17 anni nel 1990 nella classe 125, ha bissato il successo l’anno dopo per poi conquistare il terzo titolo nel 1998, nella due e mezzo. A proposito di pagine, la carriera di Loris è magnificamente riassunta nella sua autobiografia, “65. La mia vita senza paura”. Ha scritto un libro (vincitore nel premio Bancarella Sport nel 2017) a quattro mani con Simone Sarasso. Quasi 400 pagine di emozioni e adrenalina, con la Romagna come sfondo e l’odore di benzina che trasuda dalla carta. Andiamo a Borgo Rivola, dove Capirex è cresciuto a colpi di gas.

LA SCUOLA

Loris è un genio della guida e della meccanica, ma a scuola non è stato proprio una cima. «”Pronostici?”. “Che Dio me la mandi buona”, dico io, accennando persino un segno della croce. Un po’ lo so come andrà a finire, ma comunque ci spero sempre. Ma ormai ci siamo, alzo la testa e, cerco il mio nome partendo dal basso: Zoccagni, Rovero, Liverani… Gratosoglio… Capirossi… Respinto. Mi hanno appena segato in seconda media. E mentre ciondolo, triste come una pannocchia a Natale, a diverse decine di chilometri in linea d’aria un signore che ancora non conosco, ma che tra qualche anno sarà parte del mio mondo e della mia vita, accompagna due fratelli a firmare un accordo per l’acquisto di una piccola fabbrica di motociclette che da un po’ di tempo non è proprio al top, diciamo. Quel signore si chiama Carlo Pernat, e al momento è il responsabile delle attività sportive della Cagiva».

LA PRIMA VOLTA IN PISTA

Loris è nato su due ruote, ma la prima volta su una pista vera con una moto vera risale all’età di 14 anni. Ed è una prima volta un po’ particolare. «Giordano (il papà, ndr) sbuca dall’officina e mi fa: “Bom, siamo a cavallo. Sei ufficialmente iscritto al Trofeo Monomarca Honda 1987”. Tiro su la visiera: “E quand’è la prima gara?”. “Settimana prossima”, fa babbo. “A Magione”. “Diobò, babbo, non smette…”. L’acquazzone è di quelli importanti. Direi terrificante, se non fossi tanto smanioso di darci del gas. Naturalmente, piove. Da due giorni e mezzo. Primo turno di prove e viene giù che Dio la manda. Hai voluto la bicicletta? Pedala, invurnì! E io pedalo. Anzi, parto a cannone. Carico, tosto e concentrato. Si gira in senso orario e quindi fuori dai box prendo la prima curva a sinistra che è una meraviglia, vadio via con un filo di gas. Poi ce n’è subito una a destra, accelero e… a quel punto cado. BUM! Seconda curva: in terra».

65

Tutta la carriera con lo stesso numero sul cupolino: il 65. Loris spiega perché ha scelto proprio il 65. «Le prime foto da pilota son le prime foto da pilota. Mamma che emozione. Foto Oliver lavora sempre così: manda fotografi alle gare e inquadra tutti, poi si fa dare numeri, nomi e indirizzi dei piloti e spedisce le buste a casa, in contrassegno. Solo il 5% delle buste torna indietro. La vanità è un peccato parecchio remunerativo. Difatti mi batte il cuore quando tiro fuori gli scatti dalla busta e mi vedo ritratto in piega. Diobò che stile. Lo sponsor Terme di Riolo spacca. E poi – mica l’avevo notato lì per lì, cioè… non ci avevo fatto caso – mentre rimiro l’inquadratura dove sono in carena mi accorgo che mi hanno assegnato d’ufficio il 65 come numero di gara. 65… va là che non ci sta male sul cupolino. Mi piace. È un numero che mi sta proprio bene addosso».

IL DOTTOR COSTA

Nel 1989 Loris disputa il Campionato Europeo. È un’occasione unica, irripetibile per mettersi in mostra. Ma alla vigilia di un Gran Premio, si fa male e rischia di mandare tutto all’aria. Per fortuna in suo soccorso arriva Claudio Costa, il dottore dei piloti. «Babbo e mamma m’han portato di corsa all’ospedale di Imola, e dopo le lastre d’urgenza abbiamo scoperto che mi sono rotto polso e clavicola sinistri. La nuvola di Fantozzi continua a perseguitarmi. Ho implorato il dottore di non ingessarmi, dal momento che non si è mai visto un pilota che corre con il braccio al collo, ma quello insiste. Per cui sbuffo e non so davvero che fare. Babbo capisce al volo e mi mette una mano sulla spalla: “Forza. Dai che troviamo il modo…”. Torniamo a casa col morale sotto le suole. Mamma, tornata dalla fabbrica, consulta la guida del telefono. La vedo appuntarsi un numero. “Oh, io il numero di Costa l’ho preso. Telefoniamo?”. “Di chi?”, domanda babbo. Mamma è impaziente: “Giordi, non vedi che ha male da morire? Dai, chiamo Claudio Costa, il medico dei piloti. È famoso a Imola, e dicono che fa miracoli”».

LA PRIMA VITTORIA

Il 1989 è anche l’anno della prima vittoria assoluta, sempre nel Campionato Europeo. «Most è un posto duro, la morsa del comunismo si fa sentire. L’aria puzza di carbone. E qui il cielo è perfino più cattivo di me. Parto lento, ma oggi non ce n’è: non mi faccio lasciare indietro. La mia Honda viaggia alla velocità della luce: agguanto Selini, Raudies, Kistrup, Kindle e Gramigni e li passo tutti, uno dopo l’altro. Davanti a me c’è Scappini, che ha fatto la pole, ma cade dopo un paio di curve che l’ho agganciato. Sono in testa, ma ancora non mi basta. Sento la pista nelle vene, piego senza pensare, prevedo la traiettoria ideale in anticipo, freno all’ultimo e ci sto sempre dentro, anche se il fondo è sconnesso. Dai box il mio meccanico Alberto mi dice di darci del gas e io ci do del gas. Stravinco. Taglio il traguardo con diversi secondi di vantaggio sugli inseguitori. Stare sul gradino più alto del podio è una sensazione indescrivibile. Sono ubriaco di gente, sorrisi, flash».

(1- continua)

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